Lettera aperta alle associazioni, alle cooperative, alle organizzazioni non governative e ai lavoratori e lavoratrici del terzo settore

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Ci rivolgiamo a voi per parlare del dramma dell’emergenza abitativa.

Per parlare di chi, non avendo una casa, ha deciso in questi anni di occupare stabili di vuoti da società private, che da sempre speculano su un diritto come quello di avere un tetto sopra la testa, o da enti pubblici, colpevolmente incurati di ciò che dovrebbe essere patrimonio comune.

Altri hanno vissuto per anni in appartamenti venduti all’improvviso a grandi gruppi immobiliari, scoprendo così di non essere più considerati esseri umani, ma “inquilini senza titolo”, gente da sfrattare e gettare in mezzo alla strada.

Altri ancora, sono stati assegnatari di una stanza in un residence e in questi luoghi hanno abitato con la promessa di accedere, prima o poi, a una casa popolare. Questo però non è avvenuto e ora, in vista dell’annunciato chiusura delle strutture in cui vivono, non hanno alcuna idea di quella che sarà la loro sorte.

Tutti loro, insieme a decine di migliaia di romani, sono passati per gli uffici pubblici, scoprendo la beffa di ciò che viene chiama “graduatoria per l’assegnazione di una casa popolare”: una lista infinita di nomi lasciati in balia della propria precarietà per decenni, senza che nessuno sembri volere o potere o sapere assegnare davvero un sufficiente numero di alloggi popolari a chi ne ha diritto. E intanto, ogni giorno, a Roma ci sono almeno una decina di nuove famiglie che vengono sfrattate.

Le loro storie si assomigliano. E ci dicono tanto del tempo in cui viviamo. Del tempo in cui, con la crisi economica, piovono i licenziamenti, si perde il reddito e non si riesce più a pagare un affitto o un mutuo, così arriva lo sfratto. 

Ma come può essere affrontato un simile dramma sociale?

Nei giorni scorsi la giunta di Virginia Raggi ha pensato di dedicare all’emergenza abitativa un “capitolato speciale”, cioè un bando finalizzato al «reperimento di strutture di accoglienza temporanea, articolata in moduli abitativi, anche prefabbricati, preferibilmente in contesti “diffusi” nel territorio cittadino/area metropolitana o, in alternativa, in un unico complesso, per ospitare nuclei familiari in condizioni di grave vulnerabilità sociale, per un numero massimo di 100 persone».

Abbiamo letto queste poche righe mille volte.

E anche se il freddo linguaggio burocratico con cui sono scritte prova a mascherare l’orrore, questo orrore si è impadronito delle nostre menti e dei nostri cuori.

La giunta Raggi, infatti, non fa altro che proporre di deportare chi non ha casa in campi appositamente allestiti: zone speciali in cui i vecchi e nuovi poveri dovranno vivere segregati dentro tende, baracche o container per pagare, evidentemente, la colpa di non disporre di un reddito sufficiente a esaudire le pretese di chi, a Roma, controlla il mercato degli alloggi.

Ebbene care associazioni, cooperative, organizzazioni non governative; ebbene cari lavoratori e lavoratrici del terzo settore: vi scriviamo per dirvi in modo chiaro ciò che pensiamo di questo “bando speciale” e lo facciamo senza mezzi termini.

Pensiamo, infatti, che questo “bando speciale” sia un atto razzista: lo strumento per una guerra contro i poveri che pensa di poter affrontare le questioni sociali occultando alla vista di chi ancora riesce ad arrivare alla fine del mese, chi fatica persino mettere insieme il pranzo con la cena.

Siamo convinti che questo “bando speciale” sia una misura scellerata, anche dal punto di vista economico: perché pretende di spendere quasi un milione di euro per realizzare strutture precarie e temporanee mentre gli stessi soldi potrebbero e dovrebbero servire a dare nuove case popolari a Roma, l’unico investimento in grado davvero di fare del bene alla città e, naturalmente, di far scorrere le graduatorie ferme da troppo tempo.

Crediamo, inoltre, che questo “bando speciale” sia infame nel tentativo di restringere le dimensioni dell’emergenza abitativa parlando soltanto di “fragilità”: ma cosa significa essere “fragili”? L’amministrazione della Raggi evita di dare risposte precise, affidando la scelta alla discrezionalità del suo personale. Invece chiunque vive in emergenza abitativa è fragile se questo significa avere i requisiti che determinano il diritto ad accedere a una casa popolare… e Roma, da questo punto di vista, è una città “fragile” per eccellenza!

Per questo care associazioni, cooperative e associazioni governative; per questo cari lavoratori e lavoratrici del terzo settore, indirizziamo direttamente a voi la nostra lettera aperta. Lo facciamo per un solo, unico motivo. Lo facciamo perché siamo convinti che attaccare la dignità di qualcuno, come fa la giunta Raggi con il suo “bando speciale”, equivalga ad attaccare la dignità di tutte e di tutti; equivalga, quindi, a mettere in discussione la determinazione che ci spinge – di fronte a scene come quelle viste a Piazza Indipendenza o accanto alle famiglie da mesi accampate sotto i portici della chiesa dei 12 Apostoli dopo essere state sgomberate a Cinecittà – a volere, ora e sempre, restare umani.

Non sputate su tutto questo care associazioni, cooperative e organizzazioni non governative; non fatevi cucire addosso da un’amministrazione miope e sempre più impopolare la divisa del nemico, cari lavoratori e lavoratrici del terzo settore: rifiutate compatti di sostenere il “bando speciale” della giunta Raggi perché i suoi destinatari, di “speciale”, hanno soltanto i sorrisi dei bambini e delle bambine. E lotteremo affinché questi sorrisi possano risplendere nelle case popolari a cui hanno diritto e nelle scuole che gli sfratti e gli sgomberi rendono impossibile frequentare. E affinché mai alcun tipo di atto razzista come quello promosso dalla giunta Raggi possa rinchiuderlo in qualche container.

Con sincerità e determinazione,

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