Loredana Mozzilli, una donna a capo della lotta per la casa

loredana Mozzilli

Loredana Mozzilli

L’unica donna a capo delle occupazioni a Roma era lei, Loredana Mozzilli. Partita dal P. C. avrebbe dovuto seguire l’iter di tanti leader che dalle scuole quadro avviavano i giovani alla carriera politica: “Frequentavo la scuola di Frattocchie, dove insegnava Nilde Iotti, ma sono scappata. Avrei avuto tutto. Da consigliera sarei arrivata in Parlamento. Ma l’atmosfera monacale della scuola non mi piaceva.”

Era il ‘68 quando la giovane Loredana scelse un’altra strada: “Ero iscritta ad Architettura a La Sapienza. Erano gli anni della rivolta giovanile e i miei studi insieme alla passione per la politica mi spinsero a interessarmi dei borghetti di Roma. All’età di 16 anni, nel 1962, mi iscrissi al Partito Comunista. Intorno ai 20 anni partecipavo ai progetti delle  Consulte popolari, struttura esterna ma del partito che poi sarebbe diventato Sunia, che si occupava dei borghetti e delle borgate cercando di tutelare e assistere i migranti che venivano a Roma e si costruivano la cosiddetta “casa di necessità”. Erano tutti edili e la casetta se la costruivano da soli. Formavamo Consorzi volontari per evitare che le famiglie cadessero nelle mani degli speculatori, i proprietari terrieri che si facevano pagare con cifre da strozzini i suoli divisi in lotti abusivi. Io collaboravo andando per le borgate a prendere le misure delle case. Da studentessa di architettura facevo un progettino col quale gli interessati potevano pagare un dazio sul materiale e questo rappresentava un compromesso del Partito con le Amministrazioni per evitare che gli venisse buttata giù la casetta. Una forte simpatia mi legava alla figura carismatica delle consulte popolare Virgilio Melandri. Un emigrato romagnolo del periodo della bonifica di Ostia Antica che aveva organizzato varie lotte tra cui il lavoro sulle borgate. Essendo lui stesso un immigrato capiva bene le problematiche, quando morì lui le Consulte presero altra piega e divennero strutture sindacali.

 

Poi arrivò il ‘68 e noi fummo i protagonisti delle lotte dentro e fuori l’Università. Il nostro collega, Paolo Rossi un anno e mezzo prima venne ucciso dai fascisti. Questo era il clima. La parola d’ordine nella facoltà di architettura era di andare tra la gente, nelle borgate.

Il mio background era quello del partito, ne sarei uscita dopo tre anni aderendo al Manifesto, ma lavoravo con il Comitato Agitazione borgate che sarebbe diventato il Comitato Popolare Lotta Casa. La lotta per la casa nacque dalle viscere del Pc e si saldò poi con i cosiddetti gruppi extraparlamentari. Queste lotte erano connotate da varie forme. Si occupavano soprattutto case private, ma anche quelle pubbliche perché si voleva denunciare come le liste venissero gestite in maniera clientelare. Noi dei comitati di lotta preferivamo non creare la guerra tra poveri. Attaccavamo l’invenduto, il privato lasciato deperire. Le case vuote erano uno schiaffo alla miseria col bisogno che c’era.La gente nelle borgate viveva in condizioni disumane. Senza acqua, elettricità, nel fango, un disastro. La situazione drammatica era rimasta invariata dagli anni ’50. Erano dei veri slums di baracche e la gente era esasperata. Si organizzava e si andava ad occupare.

Vennero organizzate diverse occupazioni di case, alcune di queste andarono a buon fine , non tutte però. Spesso passavano anni tra l’occupazione, la vertenza con l’amministrazione comunale e l’ assegnazione di una casa popolare. Le famiglie si organizzavano e  mandavano i figli nei pressi della struttura occupata. All’ex hotel Continental per esempio abbiamo occupato pensando di aprire vertenza per la casa. Invece le famiglie ci rimasero due anni. L’edificio era abbandonato da molto tempo e rischiava di andare in rovina, invece la gente si industriò e si fecero mini appartamenti. Le stanze erano molto grandi e poi tutte avevano i bagni, un bell’albergo negli anni d’oro! La vecchia moquette venne eliminata o pulita e la fantasia delle famiglie si era scatenò nel sistemarlo. Rimettemmo in funzione anche gli ascensori perché 5 piani erano duri da affrontare per molti. Al piano terra, in una grande sala per le assemblee venne allestito un doposcuola per bambini delle 150 famiglie. Ma anche tante attività tempo libero come ginnastica per adulti. Una bella esperienza di socializzazione. Certo la convivenza non era facile. Il mio impegno poi era doppio rispetto agli uomini perché le donne si confidavano con me per risolvere problemi anche molto gravi. Io mi occupavo un po’ di tutta l’organizzazione. La gente litigava. C’erano liti furibonde. Gli occupanti venivano da condizioni precarie, spesso non erano educati e noi spesso intervenivamo come comitato cercando di far ragionare. Poi c’era sempre il pericolo della droga o della provocazione esterna. Era il periodo delle Brigate Rosse, della P38. Durante le giornate del rapimento di Aldo Moro le forze dell’ordine vennero a vedere e misero tutto sotto sopra. Fummo oggetto di attenzione particolare della polizia, dei fascisti e si viveva un clima di forte tensione. Ma si andava avanti!

Un’altra occupazione importante fu quella degli edifici Iacp al Celio. Si trattava di un complesso degli anni ‘20 molto bello di fronte all’ospedale, dove oggi c’è un parco. Vennero occupati nel ‘69 dai comitati con 300 famiglie, nell’organizzazione c’erano valdesi, cattolici.  Volevano buttare giù questo bellissimo complesso, dicevano fosse pericolante e noi paventavamo che si pianificasse una speculazione sull’area. Anche se pericolanti proponevamo di ristrutturarle noi. La maggior parte degli uomini che vivevano nell’occupazione erano operai edili. Non ci fu nulla da fare e buttarono giù quelle bellissime palazzine. 

L’ultima occupazione che gestii fu quella di Contaldo Ferrini a Cinecittà del 1981. Si trattava di un rustico e la gente si costruì casa da sola. Quella fu autocostruzione vera, però autonoma e spontanea ci rimasero diversi anni, fino alla vertenza col comune del 1985. C’erano circa 200 famiglie. Da lì il discorso si estese dal bisogno della casa a quello di recuperare edifici sfitti. Anche edifici da trasformare in abitazione! Purtroppo l’amministrazione pubblica preferiva dare casa popolare piuttosto che innestare il processo di autorecupero, che rimane interessante anche se l’organizzazione è molto più complessa con l’investimento economico da parte delle famiglie e complicato per la dovuta formazione della cooperativa. Poi siccome la proprietà era privata non è andata avanti. Ma anche con la proprietà pubblica è lo stesso. Si dava casa popolare agli occupanti e si ristrutturava la struttura che si adibiva altri usi. Per esempio in via dei Prefetti venne occupato uno stabile di proprietà della Provincia che fu sgomberato quasi subito. L’ edificio fu ristrutturato e poi adibito a uffici e affittato alla Camera o al Senato. Però erano anni che stava vuoto se non ci fosse stata l’occupazione, che in qualche modo ha svegliato, l’avrebbero lasciato deperire. Anche se non ha raggiunto scopo e non si è riusciti a realizzare l’ autorecupero l’immobile è stato utilizzato e la gente ha preso casa. Rimaneva un elemento di provocazione efficace. 

Intorno al 1975, con i coordinamenti nazionali, iniziammo a incontrarci con l’Unione Inquilini di Firenze, Milano e Napoli. Spesso ci incontravamo a Rione Sanità. Un momento per confrontarci sulle lotte che si portavano avanti. Eravamo diversi ma c’è sempre stato un filo rosso comune. A Roma poi l’Unione Inquilini avviò un ufficio di assistenza legale che iniziò ad affiancarci nelle lotte. Ricordo Fabio Alberti, Vincenzo  Simoni di Firenze e altri come Renato Rizzo.

Dopo Contaldo Ferrini presi a lavorare. La politica mi ha portato via un sacco di tempo. Guardando oggi la lotta per la casa è chiaro che manca la sinistra per coordinare le lotte. Anche se dal Pc, da cui ero partita, mi ritrovai fuori. Il Partito voleva arrivare al Governo e accettava solo azioni dimostrative, invece noi volevamo soluzioni per la gente. I problemi oggi si potrebbero risolvere con il patrimonio privato sfitto da riutilizzare per dare risposte alla gente e evitare consumo di suolo. Se pensiamo ai soldi spesi per i residence, dove le famiglie sono parcheggiate da anni, si potevano comprare dai privati degli appartamenti anche senza requisizione.

Loredana Mozzilli

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